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Articolo a cura di Giulia Carchidio

La Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), emanata dal Parlamento Europeo nel Dicembre 2022, ha introdotto moltissime novità all’obbligo di rendicontazione sulla sostenibilità gravante sulle imprese, rivoluzionandolo sia nei contenuti che nella diffusione. I cambiamenti annunciati, descritti dalla direttiva europea ma nella gran parte dei paesi dell’Unione non ancora tradotti in una più dettagliata normativa nazionale, hanno suscitato alcune preoccupazioni.

Ad essere vigili sulle prossime interpretazioni ed applicazioni della CSRD non sono solo i soggetti espressamente contemplati dalla direttiva, ma anche coloro che, sebbene formalmente esentati dall’obbligo, come conseguenza dell’innovazione dell’oggetto di rendicontazione saranno d’ora in poi tenuti a raccogliere informazioni sulla sostenibilità per comunicarle ai loro partner commerciali.

Questo modello è conseguenza della disposizione della direttiva che prevede l’obbligo di includere nella Rendicontazione di Sostenibilità una descrizione dei principali impatti negativi, effettivi o potenziali, legati alla catena del valore dell’impresa, quindi un’esposizione delle azioni intraprese per identificare e monitorare tali impatti. Gli European Sustainability Reporting Standards (ESRS) poi specificano che dovranno essere riportate anche le informazioni sugli impatti materiali, sui rischi e sulle opportunità connessi all’impresa attraverso i suoi rapporti commerciali diretti e indiretti nella catena del valore a monte e a valle, come risultanti dalle attività di due diligence e dall’analisi di materialità.

Questi riferimenti alla catena di valore dell’impresa allargano sostanzialmente l’obbligo di trasparenza gravante sugli enti europei rendendolo secondo alcuni eccessivamente gravoso, se non addirittura impraticabile. Le previsioni normative analizzate implicano infatti che anche imprese che a seguito di attente considerazioni erano state esentate dall’obbligo di compilare una rendicontazione di sostenibilità in ragione della loro dimensione o natura, siano ora tenute ad acquisire informazioni sui temi ESG per comunicarle ai loro più grandi partner commerciali, i quali sono invece espressamente sottomessi alla CSRD. È chiaro perché a primo impatto un obbligo di questa portata possa spaventare, ma studiando più approfonditamente la normativa si possono constatare una serie di accorgimenti che gli organi dell’Unione Europea hanno implementato per tener conto di queste difficoltà e temperare l’obbligo quando necessario.

Prima di tutto l’estensione dell’oggetto di rendicontazione non deve necessariamente riguardare ogni singola entità nella catena del valore, ma soltanto quelle più rilevanti. Poi la normativa ammette circostanze in cui l’impresa non riesca a raccogliere i dati richiesti, e le permette allora di riportare semplici stime utilizzando tutte le informazioni ragionevoli ad essa disponibili (ad esempio i dati medi di settore). Infine, durante i primi tre anni di vigenza della direttiva, qualora non siano disponibili tutte le informazioni necessarie relative alla catena del valore di un’impresa, questa spiega gli sforzi compiuti per ottenerle, i motivi per cui non è stato possibile e i suoi piani per riuscirci in futuro.

Le imprese non sono quindi abbandonate a sé stesse, ricettrici di obblighi impossibilmente onerosi, ma sono accompagnate dall’Unione Europea passo dopo passo verso lo sviluppo dell’imprenditoria sociale.

Bibliografia:

CRSD

 

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